lunedì 27 gennaio 2014

Sul reato di istigazione alla corruzione dopo la L. 190 del 2012.

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Cassazione penale, sez. VI, 3 maggio 2013, n. 19190.

MASSIMA

La condotta di sollecitazione, punita dal comma quarto dell'art. 322 cod. pen., si distingue sia da quella di costrizione - cui fa riferimento l'art. 317 cod. pen., nel testo come modificato dall'art. 1, comma 75 della l. n. 190 del 2012 - che da quella di induzione - che caratterizza la nuova ipotesi delittuosa dell'art. 319 quater cod. pen, introdotta dalla medesima l. n. 190 - in quanto si qualifica come una richiesta formulata dal pubblico agente senza esercitare pressioni o suggestioni che tendano a piegare ovvero a persuadere, sia pure allusivamente, il soggetto privato, alla cui libertà di scelta viene prospettato, su basi paritarie, un semplice scambio di favori, connotato dall'assenza sia di ogni tipo di minaccia diretta o indiretta sia, soprattutto, di ogni ulteriore abuso della qualità o dei poteri. (Nella specie, la Corte ha ritenuto integrata l'ipotesi di cui al comma quarto dell'art. 322 cod. pen. in un caso in cui un consulente tecnico di ufficio in una causa civile per la determinazione dell'indennità di esproprio aveva contattato una parte processuale, prospettandole una supervalutazione del bene immobile come alternativa alla corretta valutazione, che avrebbe comunque effettuato, in cambio di una percentuale sulla differenza).

SENTENZA

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 24 ottobre 2011 la Corte d'appello di Roma, in riforma della sentenza del G.i.p. del Tribunale di Roma del 10 dicembre 2010 - che dichiarava F.G. colpevole del reato di concussione in rubrica ascrittogli, condannandolo alla pena di anni due e mesi otto di reclusione, con la concessione delle attenuanti generiche e la diminuente del rito abbreviato, oltre all'interdizione perpetua dai pubblici uffici ed al risarcimento del danno in favore delle parti civili - ha sostituito la pena accessoria applicata con quella dell'interdizione temporanea per la durata corrispondente alla pena detentiva inflitta, confermando nel resto la su indicata decisione di primo grado.
2. La pronuncia del Giudice di prime cure era pervenuta al su indicato esito decisorio muovendo dal presupposto che la condotta dell'imputato dovesse essere inquadrata nell'ambito della concussione, e non dell'istigazione alla corruzione come invocato dalla difesa, sul rilievo che egli, dopo esser stato nominato C.T.U. nell'ambito di una causa civile pendente innanzi alla Corte d'appello di Roma e avente ad oggetto la determinazione definitiva di un'indennità di esproprio relativa ad un terreno di proprietà delle attrici V.A.M. e
V.R., avrebbe abusato della sua qualità e dei suoi poteri di pubblico ufficiale nel determinare il valore del bene immobile oggetto di contenzioso.
Il valore del terreno era stato stimato dal Comune di Roma in misura pari all'importo di Euro 1,7 milioni circa, a fronte di una valutazione di oltre Euro sette milioni indicata dal consulente tecnico di parte delle signore V.. L'imputato, assumendo l'iniziativa di contattare il legale delle sorelle V. (Avv. Francesco Palermo) per prospettargli la possibilità di innalzare il valore minimo del terreno - pari all'importo di Euro tre milioni - portandolo sino a quello di Euro 5,5 milioni, o più, qualora le sue clienti gli avessero versato una somma di denaro, avanzava la richiesta di un anticipo di Euro 10.000,00, - subito dopo aumentata del doppio - da corrispondergli entro la data di deposito della sua perizia: tale pretesa economica corrispondeva al 5% della differenza tra l'importo di Euro tre milioni - indicato come valutazione di base - e quello che sarebbe stato riconosciuto in sentenza per effetto della supervalutazione del bene che egli mostrava di poter fare.
Nei successivi contatti telefonici intercorsi con il legale delle signore V. in data 10 settembre 2010, il F. precisava che il doppio si riferiva non al totale, ma alla somma da corrispondergli quale anticipo di quanto richiesto. In data 11 settembre 2010 il legale delle attrici si recava dai Carabinieri per sporgere un'articolata e documentata denuncia, seguita dalla predisposizione di una consegna controllata di banconote previamente fotocopiate, che sarebbe quindi sfociata il 13 settembre 2010 nell'arresto del F., avvenuto nei pressi del Tribunale civile di Roma, luogo ove egli aveva indicato l'appuntamento con un messaggio di posta elettronica. All'atto dell'arresto, oltre a recuperare la busta contenente il denaro, gli agenti di P.G. ricevevano dal legale delle attrici copia della bozza di relazione di consulenza tecnica che il F. gli aveva appena affidato. Nelle relative conclusioni si indicava quale valore venale del terreno al momento dell'esproprio la somma di Euro 5.739,717. L'imputato, arrestato in flagranza del reato ex art. 317 c.p., veniva quindi sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, poi sostituita con quella dell'obbligo di presentazione alla P.G..
3. Con ricorso per cassazione avverso la su citata decisione della Corte d'appello di Roma la difesa di F.G. ha proposto un unico motivo di doglianza, incentrato sulla violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 317 e 322 c.p., per avere i Giudici di merito ritenuto che il fatto realizzasse il reato di concussione semplicemente in ragione dello status di pubblico ufficiale assunto dall'imputato.
In tal caso, tuttavia, non avrebbe alcuna ragion d'essere la disposizione di cui all'art. 322 c.p., comma 4, neppure quale ipotesi residuale. Si ha infatti concussione quando la parte privata certat de damno vitando, mentre in nessun momento della condotta tenuta dall'imputato sarebbero emersi elementi idonei a prospettare alla controparte l'eventualità di subire un danno.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è fondato e va accolto nei limiti e per gli effetti di seguito indicati.
5. Sulla stregua di un insegnamento giurisprudenziale ormai da tempo affermato in questa Sede (Sez. 6, n. 11382 del 21/01/2003, dep. 11/03/2003, Rv. 224260; Sez. 6, n. 26266 del 01/04/2011, dep. 06/07/2011, Rv. 250729), deve preliminarmente rilevarsi che, nel caso di una richiesta, anche reiterata, di denaro da parte del pubblico ufficiale, che venga comunque rifiutata, non ricorre il delitto di concussione, neppure nella forma del tentativo, ma è configurabile il reato di istigazione alla corruzione, previsto dall'art. 322 c.p., comma 4, quando difettino gli elementi della costrizione o dell'induzione nei confronti del privato, prodotta dal pubblico ufficiale con l'abuso della sua qualità o dei suoi poteri.
Gli elementi descrittivi della fattispecie di istigazione alla corruzione attiva propria ex art. 322 c.p., comma 4, ruotano attorno alla sollecitazione di una promessa o dazione di denaro od altra utilità, rivolta al privato da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio ed in concreto suscettibile di accoglimento da parte del destinatario.
La condotta di sollecitazione richiesta per la integrazione della fattispecie in esame si distingue sia da quella di costrizione (art. 317 c.p.), sia dall'altra, maggiormente affine, di induzione indebita (art. 319 quater c.p.), essendo stata delineata dal legislatore, secondo una scelta confermata anche a seguito della recente novella n. 190/2012, quale richiesta formulata senza esercitare pressioni o suggestioni che tendano a piegare, ovvero a persuadere, sia pure allusivamente, il soggetto privato, alla cui libertà di scelta viene prospettato, su basi paritarie, un semplice scambio di favori o di vantaggi, connotato dall'assenza di ogni tipo di minaccia, diretta o indiretta, e soprattutto dall'assenza di ogni, ulteriore, abuso della qualità o dei poteri. Deve dunque trattarsi di una richiesta avanzata senza particolare insistenza, all'interno di un rapporto che la vicenda storico-fattuale consenta di ritenere concretamente caratterizzato da una totale parità di posizioni tra i soggetti che vi prendono parte, e oggettivamente diretto al mercimonio dei pubblici poteri (Sez. 6, n. 3251 del 03/12/2012, dep. 22/01/2013, Rv.
253937). Diversa soluzione ermeneutica dovrebbe invece prospettarsi, con la conseguente sussunzione del fatto nello schema descrittivo delineato dal combinato disposto degli artt. 56 e 317 c.p., ogni qual volta la condotta del pubblico ufficiale sia astrattamente idonea a determinare uno stato di soggezione, anche se poi - per la particolare resistenza o forza del soggetto passivo - tale risultato non si produca, laddove il delitto di istigazione alla corruzione costituisce un'ipotesi del tutto residuale, di chiusura del sistema, introdotta dal legislatore per punire quelle condotte del pubblico ufficiale nelle cui modalità di realizzazione non sia possibile ravvisare alcun significato di costrizione o di induzione nei confronti del privato (Sez. 6, n. 6113 del 25/02/1994, dep. 25/05/1994, Rv. 198498).
Ai fini della configurabilità del tentativo di concussione, infatti, si ritiene necessaria l'oggettiva efficacia intimidatoria della condotta, mentre è indifferente il conseguimento del risultato concreto di porre la vittima in stato di soggezione, potendo quest'ultima determinarsi al comportamento richiesto per mero calcolo economico, attuale o futuro, o per altra valutazione di tipo utilitaristico (Sez. 6, n. 30764 del 22/05/2009, dep. 23/07/2009, Rv.
244867). Nel caso di specie, tuttavia, l'imputato ebbe cura di precisare quella che a suo avviso doveva essere ritenuta la valutazione corretta del bene da stimare, palesando al destinatario della sua attività sollecitatrice la possibilità di indicarne una supervalutazione idonea a determinare l'ingiusta locupletazione di entrambi, senza che in alcun momento della condotta delittuosa sia stato possibile individuare un'incidenza effettiva sulla libertà di autodeterminazione delle destinatane della richiesta, attraverso la prospettazione di conseguenze sfavorevoli, o comunque di un pericolo di pregiudizio legato ad un'ingiusta sottovalutazione del bene.
Emerge chiaramente dal percorso motivazionale dell'impugnata pronunzia, del resto, che la dazione della somma di denaro ottenuta dall'imputato in occasione dell'incontro del 13 settembre 2010 venne simulatamente effettuata dal legale delle attrici non certo per effetto di soggezione psicologica nei confronti del soggetto attivo, ma solo per consentirne l'arresto in flagranza, con la conseguente predisposizione del servizio di appostamento ed intervento in loco.
Integra, dunque, il delitto di istigazione alla corruzione previsto dall'art. 322 c.p., comma 4, la condotta del C.T.U., nominato in una causa civile per la determinazione dell'indennità di esproprio, che prenda contatti con una delle parti prospettandole una supervalutazione del bene immobile come alternativa alla sua corretta valutazione - che comunque effettuerà - e le chieda di corrispondergli una percentuale da calcolare sulla differenza dell'importo complessivamente stimato.
Ne discende, ancora, che l'abuso richiesto per la configurazione dei reati di "concussione" (art. 317 c.p.) e di "induzione indebita" (art. 319 quater, c.p.) non può essere sic et simpliciter identificato, anche a seguito delle modifiche introdotte dalla recente novella legislativa, nella indebita richiesta di denaro o di altra utilità, rivolta dal pubblico ufficiale al privato (Sez. 6, 11 gennaio 2013 - 8 aprile 2013, n. 16154), poichè la mera "sollecitazione" in tal senso, ancorchè reiterata, si sviluppa comunque attraverso forme comportamentali inidonee a determinare quella condotta costrittiva propria del primo modello sopra indicato - che, pur non eliminandola del tutto, incide gravemente sulla libertà di autodeterminazione del soggetto passivo - ed integra, di norma, nel caso sia rifiutata, il reato di istigazione alla corruzione punito dall'art. 322, commi terzo e quarto, c.p., e, se accolta, quello di corruzione consumata, punito dall'art. 318, o, rispettivamente, dall'art. 319 c.p.. Sotto altro, ma connesso profilo, anche la condotta induttiva prevista per la configurabilità della diversa ipotesi delittuosa prevista dall'art. 319 quater c.p., così come introdotta dalla L. n. 190 del 2012, art. 1, comma 75, richiede un quid pluris consistente nella esigenza che la medesima attività sollecitatrice sia preceduta o accompagnata da uno o più atti che costituiscono estrinsecazione del concreto abuso della qualità o del potere dell'agente pubblico (Sez. 6, n. 16154 del 11/01/2013, dep. 08/04/2013, Rv. 254540).
6. In conclusione, alla stregua delle su esposte considerazioni, diversamente qualificata l'imputazione ai sensi dell'art. 322 c.p., comma 4, la sentenza impugnata va annullata limitatamente alla misura delle pene principali ed accessorie e rinviata per la conseguente rideterminazione delle stesse ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma.
P.Q.M.

riqualificato il fatto ex art. 322 c.p., comma 4, annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma.

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